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Thailandia e ritorno.

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Al ritorno da un viaggio secondo me bisognerebbe prendersi del tempo. Sospendere tutto prima di riprendere in mano le faccende di sempre. Lasciar decantare, come il vino. 
Il rientro dalla Thailandia è stato brusco, troppo. Ma del resto ogni ritorno lo è. 
Si disfa la valigia, si fa il bucato, la spesa, si ricomincia a lavorare, le relazioni con le persone riprendono più o meno dal punto in cui erano rimaste. Quando si torna però si può aver bisogno di tempo per mettersi in pari con il fuso orario, per capire se qualcosa è cambiato. 

“Come è andata?“

    Non riesco a spiegarlo, non subito.
    Vorrei poter raccontare tutto senza pause tra una frase e l’altra. Dei templi e del traffico. Dei mercati a tutte le ore e dei santuari nella foresta. Degli autobus, barche, treni, taxi. Della discussione con l’autista di quel tuk tuk sgangherato che moriva in corsa, molto sgradevole. Di John, che si divide part-time fra Chiang Mai e le Hawaii (che vitaccia, eh). Di due sudafricani, due italiani e una bottiglia di whisky. Dello street food ottimo e di quello pessimo. Della sera in cui sono caduta attraversando la strada. Del secondo giorno, quando Luca si è svegliato con la febbre a trentotto e mezzo. Antibiotici per tutto il viaggio. Dei sorrisi e della gentilezza, e anche dei venditori di amuleti thailandesi, poco entusiasti di aver a che fare con una farang, un’occidentale con la pelle chiara.

    La Thailandia è un frullatore di contraddizioni. È dolcezza e discriminazione. Incanto e bestemmia.
    Momenti di poesia accanto a cumuli di immondizie, ventate di frangipani in mezzo a marmitte puzzolenti, fedeli in ginocchio davanti al Buddha che subito dopo si fanno un selfie con le offerte, bellezze cinesi mascherate in abiti tradizionali thailandesi. #thaibeauty, scrivono su Instagram.
    Palazzi lussuosi vicino a catapecchie accasciate su un fianco. Maserati lucidi con i vetri oscurati, anziani seduti su una sedia scolorita con vista traffico. Vendono biglietti della lotteria per pochi bhat. Metropolitana con aria condizionata a dodici gradi quando fuori ce ne sono trentasette, una mazzata per noi occidentali deboli di pancia. Mosche sulle carni esposte al mercato, topi che corrono fra una bancarella e l’altra, frutta dolcissima appena tagliata da mani nodose ed esperte, noodles roventi da un padellone a bordo strada. La lavastoviglie lì in parte, in un catino. E i noodles sono deliziosi.

    Ancora non so come raccontarlo. Mettere ordine in un casino in cui tutto è mischiato, sottosopra, seducente come un uomo bello e mascalzone che un momento ti lusinga e un attimo dopo ti ignora, è un tentativo quanto mai complicato.
    C’è bisogno di lasciar depositare, di suddividere il viaggio in capitoli più piccoli, facili da leggere ad alta voce. 

    Aspettavo la Thailandia da quel 24 febbraio 2020, quando ho cancellato volo e prenotazioni. Sarei dovuta partire sei giorni dopo. Ho pianto a dirotto. 
    Forse per questo oggi ho vissuto il viaggio con l’eccitazione di una prima volta, la forza di chi ha atteso, la consapevolezza che rispetto alla complessità di questo Paese, poco meno di due settimane sarebbero state solo una strizzatina d’occhio. Come queste prime righe che sto pubblicando.
    Il resto ve lo racconterò poco alla volta, ci sarà tutto. Itinerario, luoghi da non perdere, templi e mercati, città e natura, street food e massaggi. 
    Se intanto avete domande, curiosità, dubbi, c’è spazio qui sotto nei commenti.

    Elisa Malisan

    Sono curiosa, schietta, introversa. Amo gli aggettivi insoliti, i decolli e gli atterraggi, i sapori decisi e le parole gentili. Viaggio e scrivo. Non sempre in quest'ordine.


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