Lo sappiamo tutti: viaggiare è una cosa bellissima, ma non sempre le avventure filano completamente lisce. Ne sappiamo qualcosa anche io e Luca che in tanti anni insieme abbiamo visto posti indimenticabili e al contempo affrontato episodi imprevisti o improbabili, alcuni dei quali al limite del tragicomico. In questo post ve ne racconto alcuni che fino ad ora ci eravamo trattenuti dal rendere pubblici.
Ma siccome mi piace riderci su e stemperare post più seri con altri semi-seri, ho deciso di scoprire le carte e raccontarvi alcuni retroscena dei nostri viaggi.
Con l’aggiunta — a posteriori — di qualche consiglio per non sbroccare e non farsi rovinare le vacanze. L’invito poi naturalmente è rivolto anche a voi, lettrici e lettori del blog: se volete, condividete nei commenti qualcuna delle vostre (dis)avventure in giro per il mondo. Ci sentiremo tutti una grande famiglia di viaggiatori che in qualche modo… si arrabattano.
Quel piccolo dettaglio: la data di scadenza del passaporto.
Non so se vi è già capitato di leggere l’articolo dedicato al rinnovo del passaporto, ma dovete sapere qual è il motivo per cui sono così informata sull’argomento.
Qualche anno fa, mentre stavamo preparando le valigie per il nostro viaggio in Vietnam — partenza di lì a tre giorni — ci è capitato un imprevisto che sarebbe potuto culminare in queste situazioni:
- Buttare nel cesso un viaggio intercontinentale pianificato (e in buona parte già pagato) da otto mesi.
- Abbandonare il proprio compagno/a di avventure e gustarsi un imprevisto viaggio in solitaria, postando selfie a manetta (Ehi amore, guarda dove sono oggi!)
- Cavarsela un po’ per culo e un po’ perché fortunatamente c’è qualcuno più sveglio di te. Seguito da:
- Sentirsi dei pivelli per i sei mesi successivi e, una volta smaltita la vergogna, scrivere un bell’articolo sul blog sperando di aiutare altri a non incappare nella stessa situazione. È andata proprio così infatti.
Che è successo? Chiederete voi.
Ebbene, alla vigilia della nostra partenza abbiamo realizzato che uno dei nostri due passaporti sarebbe scaduto entro cinque mesi. Ma per salire su un aereo diretto in Vietnam erano necessari almeno sei mesi di validità oltre la data di rientro, altrimenti ci avrebbero bloccati all’imbarco. Come negli incubi peggiori di ogni viaggiatore.
Fortunatamente quel minuscolo dettaglio ci è saltato all’occhio (come una scheggia) un paio di giorni prima di partire e non al banco del check-in! E fortunatamente, grazie all’agenzia locale con cui avevamo organizzato il viaggio, l’ambasciata vietnamita ci ha concesso una preziosa lettera d’invito che ci ha permesso di partire, nonostante non fossimo in regola con uno dei due passaporti.
(Ora è incorniciata a casa, ndr.)
Già perché naturalmente avere un passaporto nuovo di zecca in 48 ore era un miracolo che nemmeno tutte le divinità cristiane e buddiste messe insieme sarebbero riuscite a fare, nonostante le avessimo invocate tutte dalla prima all’ultima. Non sempre con parole complimentose, ammetto.
Morale della favola: da quella volta dispenso consigli a piene mani sui requisiti di viaggio a chiunque menzioni l’argomento e ricordo a memoria le scadenze di tutti i nostri documenti.
Affinché non vi capiti lo stesso, andate a leggervi l’articolo su cosa fare per rinnovare il passaporto e quando richiederlo. #goodtoknow.
Viaggio con i mezzi pubblici in Sicilia: trova il tuo zen.
Restiamo sul tema spostamenti e parliamo del fantastico mondo dei mezzi pubblici.
Quando abbiamo deciso di non noleggiare l’auto per il nostro viaggio in Sicilia sud orientale, nei nostri conoscenti abbiamo notato facce perplesse e espressioni quasi di scherno: “Ma siete sicuri?”. Per non parlare dei nostri host siciliani che puntualmente commentavano: “Siete pazzi a viaggiare in Sicilia con i mezzi pubblici!”
Premetto: è andato (quasi) sempre tutto al meglio, ma alla fine della vacanza abbiamo capito fino in fondo il perché. Per viaggiare con i bus e i treni in Sicilia devi prima aver trovato il tuo zen.

Questo non perché i mezzi pubblici non ci sono o non funzionano, ma per come sono gestiti. Qualche esempio?
La tabella orari appesa alle fermate dei bus cittadini è un avvistamento raro. Per prendere il bus ci si apposta e si aspetta. Talvolta senza avere la certezza di essere dal lato giusto della strada.
I siti di molte aziende di trasporti risalgono ai primi anni 2000, quando il web era l’internèt e i cellulari al massimo si connettevano a due a due per giocare a snake. Vi sfido a usarli da mobile.
Alle stazioni degli autobus non hanno il buon vecchio orario di carta: “Eh, l’orario è su internet”. Ok, grazie.
Ci sono mille mila compagnie di trasporti private che collegano tutte le città e i paesi, ma ricordarsi quale va dove (appunto senza l’orario cartaceo di cui sopra) è impossibile. Per non parlare delle linee di cui scopri l’esistenza solo quando arrivi a destinazione.
Tutto questo non per spaventarvi ma per darvi un unico consiglio: volete viaggiare con i mezzi pubblici in Sicilia? Bene, fatelo, siete green e sostenibili (e io sono con voi al 100%). Ma portate con voi tutta la pazienza che avete e se qualcosa va storto… non incazzatevi. Buttatela sul ridere e andate a prendervi una granita per ingannare l’attesa.
E non trascurate la regola aurea: prendete sempre, solo il biglietto di andata.
L’unica volta che noi abbiamo comprato anche quello di ritorno prima di partire (Catania-Aci Trezza), il bus (interurbano) per del rientro non è passato. Dopo oltre un’ora in piedi alla fermata, è passato un autobus urbano diretto a Catania… di cui ignoravamo l’esistenza.
Ooooooommmmmmm.
Vita da isolani, aggrappata a un generatore.
Ricordate l’estate del 2013, quando i telegiornali raccontarono che Santorini era rimasta senza corrente per 5-6 giorni a causa di un guasto alla centrale elettrica dell’isola?
Ecco, noi c’eravamo.
Quell’anno per la nostra unica settimana di ferie — a Ferragosto, naturalmente, come nella migliore delle tradizioni italiane — avevamo scelto proprio Santorini per le vacanze.
Quel giorno ci trovavamo a Thira, capoluogo di Santorini, e verso ora di pranzo era calato un silenzio strano sulla città. Niente più musica nei locali, solo il chiacchiericcio dei turisti. Vabbè, è saltata la corrente, ci siamo detti, non è un dramma. Anzi, trascorrere la giornata senza il solito frastuono da località turistica era insolitamente bello.
Poi la sera ci siamo spostati a Oia, dove c’era un’atmosfera magica e irripetibile: le stradine illuminate dalle candele, il tramonto cedeva il posto alla luna e le costruzioni candide dell’isola si illuminavano un riverbero naturale difficile da descrivere.
Tuttavia il giorno dopo abbiamo scoperto che il guasto era ben più grave di un’interruzione momentanea: non si sapeva quando sarebbero riusciti a ripararlo e infatti è durato quasi tutta la settimana. Non un grosso problema di per sé, quando ti trovi in Grecia in piena estate la corrente serve (quasi) poco.
Peccato che… oltre alla mancanza di piccole cose utili (tipo poter ricaricare il telefono) ce ne fosse una un po’ più seccante: non c’era l’acqua per lavarsi. E i generatori di corrente, di cui tutti gli alberghi e locali erano provvisti, venivano accesi a turno in tutta l’isola, senza preavviso.
Così è stata una settimana di docce non sempre ben riuscite e di tanti bagni in mare, nel dubbio.
E menomale che tutto è successo dopo l’escursione alla caldera di Santorini, dove il giorno prima avevamo fatto il bagno in acque sulfuree…
Per non tirare giù tutti i santi in paradiso, da quella volta una confezione di salviettine in valigia non è mai di troppo.
Balene e… monsoni. E un sacchetto a righe bianche e rosse.
Luca è molto affascinato dalle balene e quando siamo partiti per il viaggio in Sri Lanka anche io ero eccitata all’idea di vederle dal vero: al largo di Mirissa in agosto se ne avvistano molte.
Però. A Mirissa e nelle regioni sud ovest dell’isola di Ceylon in quel periodo è stagione di monsoni, ovvero: mare in burrasca, vento, piogge.
Però 2. Io soffro molto il mal di mare: quando dico molto intendo che mi viene la nausea anche andando all’acquario. Come quelle volte a Genova e a Valencia, quando sono dovuta uscire all’aria aperta più volte per scacciare il colorito verdognolo e il senso di nausea causato dall’acqua che si muoveva nelle vasche.
Quindi mi sono armata di antimetico e Plasil (pastiglie per calmare il vomito) e mi sono fatta coraggio.
Peccato che le onde di una burrasca durante i monsoni su una bagnarola in mare aperto fossero alte almeno 2 o 3 metri in più di quanto immaginassi.

Dopo nemmeno mezz’ora dall’uscita dal porto di Mirissa ero già abbracciata al un bel sacchettino a righe. Ricordo confusamente una coppia seduta poco più avanti a me sulla barca che mi guardava con faccia divertita per la mia incapacità di sopportare il primo “leggero rollio”.
Mi consolo con il fatto che non sono rimasta sola a lungo: man mano che uscivamo in mare aperto i sacchetti si sono moltiplicati sulla prua e ci hanno accompagnati fino al rientro in porto, non so esattamente quante ore e quanti cambi di sacchetto dopo.
Gli unici che si sono divertiti e hanno scattato qualche bella foto alle code dei giganti del mare sono stati i nostri marinai singalesi, probabilmente abituati a ben altre mareggiate.
Le 8 ore successive a questa escursione le ho trascorse riversa sul letto, con un aspetto poco salutare e un umore a dir poco pessimo.
Nel caso vi venisse voglia di fare la stessa esperienza, ricordate che navigando in mare aperto durante la stagione dei monsoni il Plasil è poco più di una mentina.
Quell’insana voglia di… essere cordiali e assaggiare tutto.
Viaggiare all’estero e soprattutto in Asia ci piace per confrontarci con culture, usanze e tradizioni diverse dalle nostre. E il Nepal in questo senso è stato uno dei viaggi più belli e intensi: i nepalesi sono una popolazione gentile, orgogliosa delle proprie tradizioni e della propria cultura.
Quel giorno eravamo a Bungamati, una piccola città non lontano da Kathmandu, un posto poco turistico.
La nostra guida per pranzo ci ha proposto di fermarci in un piccolo “ristorante” locale gestito da una signora non troppo sorridente che ci guardava con aria dubbiosa dallo sgabellino su cui era seduta.
Il posto era una stanza male illuminata con due panche vicine alla porta e una specie di bancone vicino alla cucina a vista: un fornelletto a gas su un ripiano sbilenco addossato al muro. Il paraschizzi (vuoi non metterlo?) era fatto di quattro fogli di giornale resi ormai trasparenti dall’olio fritto e dai condimenti.
Molto orgoglioso il nostro accompagnatore ci ha proposto dei bocconcini carne di montone grigliata assicurandoci che no, non era molto piccante, anche perché noi dopo molti giorni di pepatissima cucina nepalese cominciavamo ad essere un po’ irritati ad altezza addome.
Spinti dalla curiosità e dal timore di essere scortesi più che dalla fame, abbiamo azzannato il bocconcino rovente… e abbiamo cominciato a tossire in maniera incontrollata, con gli occhi pieni di lacrime, mentre la nostra guida mangiava di gusto senza fare una piega naturalmente. Al che, per sedare l’attacco, la signora (ridendo) ci ha offerto un bel bicchierone di vino di riso: una brodaglia aspra dal retrogusto rancido.
Ne siamo usciti tutti e tre imbarazzati, e poco dopo ci siamo fermati per strada a comprare della rigenerante (e dolcissima) frutta fresca.
#momentomestizia.
Attimi di lucidità improvvisa. Leggi: ho perso qualcosa.
Vi capita mai di fare le cose sovrappensiero e rendervi conto senza il minimo dubbio, qualche minuto dopo, di non avere con voi una cosa importante?
Ecco, a me è successo proprio questo pochi minuti dopo essere salita sul volo Doha-Venezia per rientrare dal viaggio in Sri Lanka. Mentre mi preparavo al relax in aereo per le successive 4-5 ore, ho realizzato senza il minimo dubbio che non avevo… il mio cellulare. Con cui avevo armeggiato fino a poco prima di uscire dal gate.
Mentre rovistavo come una pazza isterica nel bagaglio a mano tirando fuori tutto quanto, Luca senza scomporsi scuoteva la testa con l’aria di chi vede la stessa scena per l’ennesima volta. “Ma no, ce l’hai di sicuro. Dai succede sempre così, siediti e stai tranquilla. Vedrai che viene fuori”.
Presa dalla paura che chiudessero i portelloni e ci avviassimo al decollo, ho mollato tutto sul sedile e sono corsa dalla hostess, e in un inglese sconnesso dal panico sono riuscita ad ottenere che scendesse una di loro a cercare il mio telefono. Io non avevo il permesso di scendere, era stata categorica.
Quando è tornata col sorriso io ormai avevo consumato un paio di centimetri della moquette del corridoio e l’ho agguantato con la stessa foga di Bilbo Beggins con l’anello del potere.
Era caduto sotto una sedia.
Consiglio per non lasciare il vostro telefono in giro per gli aeroporti (o da qualsiasi altra parte): mettetelo in qualunque indumento, marsupio o zaino munito di tasca con cerniera. E fissatelo o tastatelo amorevolmente prima di spostarvi, così siete consapevoli di averlo con voi.
Ad ogni modo, tutto è bene quel che finisce bene, come dicono molte battute stoppacciose dei film americani. E visto che sono certa di non essere la sola ad avere storielle del genere da raccontare, volete condividerne con me qualcuna dal vostro repertorio?
Non siate timidi, aspetto di leggere i vostri commenti!
A presto 🙂