Inverno a Venezia, 100% umido e grigio.
Arrivati in stazione ci rendiamo subito conto che per i prossimi tre giorni dovremo combattere con il clima. Nebbia. Freddo penetrante. E neanche una nebbia particolarmente affascinante, bassa sulle calli. Gelida e poco fotografabile.
Oggi, alla vigilia dei quaranta, ho finalmente capito a cosa serve il mascara waterproof. Mascherina all’aperto + freddo + umidità = panda.
Venezia, in bianco e nero
Dopo ore tra calli e sestieri, irrigiditi dal clima, decidiamo di andare a Palazzo Grassi, (dove l’anno scorso abbiamo visto la mostra su Henri Cartier-Bresson), carichi di aspettative per un’altra mostra di fotografie in bianco e nero: Hypervenezia.
Un progetto mastodontico di Mario Peliti per ritrarre tutta Venezia (isole comprese), iniziato nel 2006 e che andrà avanti fino al 2030.


Le foto sono perfette: tutte con gli stessi contrasti, lo stesso punto di vista, le stesse prospettive e tagli. Paesaggio urbano puro. Notevole, non c’è che dire.
Però. Palazzi, chiese, palazzi, ponti, palazzi, canali. Asettici, minuziosamente descrittivi di una città all’apparenza vuota, senza persone, spogliata dei colori. Luca trova che il bianco e nero l’abbia privata della sua caratteristica più bella. A me il bianco e nero non dispiacerebbe, se non fosse che questo architetto-fotografo (ma con un’anima da ingegnere, secondo me) sembra aver vivisezionato calli e campi per farne uno studio al microscopio e un’analisi statistica più che un reportage.
Fosse stato un ritratto di Venezia ai tempi del lockdown, l’avrei capito. Così non tanto.
Quando guardo una foto o un quadro, mi aspetto che mi emozioni, mi porti all’inconscio, mi faccia pensare, sognare o qualsiasi altra cosa. Anche inorridire, non importa! Ma cazzo, Mario, mi spiace ma le tue foto non mi parlano nemmeno al citofono.
Dorsoduro e dintorni
Dopo un riposo (o meglio un lungo svenimento sul letto dell’albergo dalla tappezzeria arabescata-floreale-rosa) al calar della sera camminiamo fino a Dorsoduro, il nostro sestiere preferito. La nebbia si trasforma in una pioggerella sottile che bagna l’obiettivo della fotocamera. Fra le tenebre delle otto di sera si sente la mancanza dei colori del giorno in questo sestiere, ma è una buona occasione per sperimentare con la macchina fotografica.

In giro solo pochi studenti. Tutto è chiuso. Solo i venditori di souvenir a poco prezzo, imperterriti, tengono ancora aperto, sperando in qualche vendita. Ma è domenica sera, i turisti rientrano.
Seduti in un bar in Campo Santa Margherita, fra palazzi in pietra e cemento, improvvisamente mi mancano gli alberi e il verde. Forse a parlare è la stanchezza, ma visitare la città a passo veloce mi sembra non avere più il fascino di qualche anno fa. Mi sembra qualcosa di già fatto molte, troppe volte. La natura invece rompe ogni schema con l’eccitazione della novità e dell’inaspettato. Una cosa che l’uomo ha imparato a imitare, ma senza poter competere fino in fondo.
Dopo i 30.000 passi di oggi ceniamo presto con un hamburger, con tanta soddisfazione, e rientriamo presto. Domani la laguna ci aspetta, con il giro per cui siamo realmente tornati a Venezia in questi giorni: quello delle isole di Murano, Burano e Torcello.
Mattoni rossi e sculture in vetro. Murano.
Partiamo a passo svelto verso le Fondamente Nuove e con il primo vaporetto arriviamo a Murano, prima tappa del nostro tour fai da te a Murano, Burano e Torcello. Ce la immaginavamo decisamente più piccola.
Finalmente, tranquillità. Già perché nonostante il clima e le giornate corte, fra le calli c’è tanta gente, mentre qui si cammina in silenzio, senza urtarsi né sgomitare.
Lungo il canale principale le vetrine e i laboratori del vetro non si contano, si passa dai capolavori — vere e proprie sculture — a falsi made in China di scarsissimo valore. In ogni caso è facile capire quali sono i laboratori artistici veri, dove per accaparrarsi un’opera in vetro soffiato si può arrivare a spendere 21.000 €. Sì, ventunomilaeuro.
Di Murano ci affascinano le vecchie vetrerie con le facciate in mattoni e le ciminiere, molte delle quali probabilmente chiuse, che contrastano con il verde della laguna. Le danno un fascino industriale e decadente. Degli antichi fasti artigianali non sembra essere rimasto molto, ma ci piace così.


Dal faro riprendiamo il vaporetto e mentre ci allontaniamo i camini spenti scorrono via alle nostre spalle.
Immaginarsi isolani. Burano.
Qui sì che ci sono tanti turisti, ma fortunatamente, superati i primi tre ponti e i mille selfie in corso, ci si disperde e si torna a passeggiare in silenzio.
Le calli straordinariamente colorate, anche con il cielo lattiginoso sembrano perfino troppo colorate. Sotto il cielo blu di una giornata estiva, credo che siano al limite dell’allucinogeno.
Oltre ai turisti si vedono passeggiare solo alcune persone anziane e dei grossi gatti, evidentemente abituati al contatto anche con gli umani estranei: non si scompongono più di tanto mentre li fotografiamo e tentiamo di allungare una carezza.
Camminando fra i campi e le vie più interne, semi-deserte, ci chiediamo come possa essere la vita da isolani. Senza auto e con il mare che interrompe continuamente la terraferma, il limitare dell’isola a pochi passi.
Le tende a righe davanti alle porte di ingresso, in tono con i colori delle case. I fiori sui balconi, scelti certo non a caso. I banchi del mercato del pesce ormai finito, quelli fissi sui tubi in metallo e con il piano in cemento.
Una signora dai capelli lunghi d’argento butta il pane ai piccioni. Li guarda sorridendo come fossero gatti, cani, nipotini. Poi guarda il cielo e torna dentro casa.


Affascinante sobrietà. Torcello.
Dal minuscolo molo alla Cattedrale di Santa Maria Assunta. Una passeggiata romantica, malinconica, fuori dal tempo. I locali affacciati sul canale sono quasi tutti chiusi in pieno inverno, ma le luci spente e le imposte chiuse sembrano dare all’isola ancora più fascino. Le tonalità complementari trionfano di bellezza all’ora del crepuscolo.

Nei dintorni, distese di prati secchi, cespugli e qualche pino marittimo. Ai lati del canale si intravede qualche casa solitaria. Bei giardini, animali da cortile.
Vivere o stare qui per qualche giorno dev’essere un regno di pace e isolamento, al limite del surreale.
L’atmosfera è piacevole, più contenuta rispetto alle altre isole. Religiosa. Statue vecchie e una cattedrale in mezzo alla natura. Odore di erba e fango umido. Mi ricorda l’infanzia, quando la sera giocavo nell’orto dei nonni.
Rientriamo. Dopo così tanto camminare e guardare abbiamo bisogno di una pausa. Con questo clima non ci si può fermare dove capita e prendere in mano la penna o i pennelli. Il prossimo anno, ho deciso, festeggerò il mio compleanno a primavera, con giornate lunghe e tiepide. D’inverno pare di viaggiare per metà.