“Cosa vi è piaciuto tanto del Vietnam?”
È il tipo domanda che al rientro da un viaggio ci lascia sempre dubbiosi.
Dopo il viaggio in Vietnam siamo più in difficoltà che mai. Ce l’hanno chiesto in tanti.
Raccontare il Vietnam non è semplice; anche per questo ho sentito la necessità di suddividerlo in piccoli pezzi, cogliendo pochi dettagli alla volta.
Per iniziare a raccontarvi le nostre impressioni, mi affido alle parole di Corrado Ruggeri, che fin dalle prime pagine della nuova introduzione a “Farfalle sul Mekong” è riuscito a commuovermi, farmi ridere, annuire.
Ci sono posti, in Vietnam, che scaldano il cuore. E fanno friggere l’anima, scatenando il senso di colpa che tutti gli occidentali si portano dentro. Perché se immagini le bombe che cadono sui villaggi di palafitte, sulle donne con il cappello a cono che raccolgono il riso, […] se immagini un paese massacrato e poi risorto, pensi che troppe volte il mondo gira al contrario di come dovrebbe.
Corrado Ruggeri, Farfalle sul Mekong, ed. Universale Economica Feltrinelli, 2015
Al di là delle città stupende come Hanoi, Hue e Hoi An, della cucina vietnamita piena di sorprese e sapori insoliti, del clima e della natura rigogliosa, la cultura e le persone, così profondamente diverse dalla nostra, sono forse le cose che ci hanno colpito e insegnato di più in questa vacanza.
Il Vietnam è una nazione complessa, la cui storia cruenta si vede ancora oggi negli occhi di adulti e anziani.
Dopo 12 giorni di viaggio quello che ci siamo portati a casa al rientro è una parola: modestia.
Partire è spesso trovare uno spunto per riposizionare l’io e ridimensionarsi un po’. Un modo per riportare il sé a quel minuscolo puntino nell’Universo che siamo realmente.
Forse questo succede perché in viaggio ci prendiamo una pausa dai nostri problemi e li accantoniamo per un attimo. In quei momenti riusciamo a cogliere che il desiderio di un nuovo paio di scarpe, di contare i like della foto postata il giorno prima e le insoddisfazioni che ci infastidiscono tutti i giorni sono problemi davvero relativi.
Fin troppo facile fare retorica su questi temi, indubbiamente.
Il fatto è che a noi il Vietnam ha lasciato un profondo senso di stima e di modestia che ci sono state trasmesse dalle persone che abbiamo incontrato.
– Grazie Thuy per essere stata con noi questi due giorni, è stato molto bello avere te come guida.
[Imbarazzo]
– No beh… domani avrete una guida molto più brava di me… io ho ancora molto da imparare… Vedrete la nuova guida è davvero brava.
Alla prima risposta di queste, ci siamo creati altisonanti aspettative.
Alla seconda abbiamo cominciato a chiederci “Ma parla sul serio o è la risposta standard per i turisti?”
Alla terza risposta, ricevuta da una guida dai modi educati ed intelligenza sottile – aveva 25 anni ed era la più vecchia delle tre guide locali che ci avevano accompagnati fino a quel momento – abbiamo cominciato a cambiare un po’ prospettiva.
Non che siano state solo queste le frasi che ci hanno fatti pensare ovviamente. Parlando con le persone ci siamo resi conto di quanto radicate e radicali siano le differenze fra la cultura asiatica e quella occidentale.
Questione di valori
Giusto poco prima di partire avevo letto un articolo in cui si confrontavano i valori orientali e quelli americani: collettività, istruzione, pazienza e umiltà erano i più importanti per la cultura asiatica.
Noi li abbiamo ritrovati in prima persona durante il nostro viaggio, riconoscendoli nella modestia delle nostre giovani guide; nella dedizione di Le Thuy, studentessa universitaria di italiano, che ci ha fatto scoprire lo street food di Hanoi in cambio di una serata di pratica; nelle parole di Kien, “matura” guida di 30 anni, che durante il tragitto verso Halong Bay ci spiegava perché in Vietnam si cucina tutto.
Prima di vedere i crateri delle bombe americane ora foderati di foresta nel santuario di My Son, prima di salutare bambini di 10-12 anni portare i bufali al pascolo in montagna e di osservare le bambine ricamare come adulte, anche i nostri (pre)giudizi sulla cucina vietnamita erano diversi.
Conoscere queste persone ci ha fatto rivedere parecchio le nostre posizioni.
Abbiamo pensato a come viviamo per i restanti 350 giorni dell’anno.
Abbiamo ripensato ai crucci che ruotano quotidianamente attorno alla nostra fortezza, circondata da un fossato profondo pochi centimetri, che spesso crediamo di non riuscire ad attraversare.
Abbiamo riflettuto ascoltando quel nostro conoscente che al rientro dalle ferie sbandierava imprese leggendarie. Dopo un lungo monologo e poche domande, sentiva le risposte con aria annoiata e distratta. Nelle sue pupille traspariva una domanda: “Ma perché avete dovuto fare così tanta strada?”
Tornare a casa… un po’ cambiati
Tornati dal Vietnam, vorremmo conservare a lungo la dimensione ristretta del nostro io.
Ci piacerebbe non ripiombare nell’oblio precedente nel tempo di un jet-lag che passa, di una settimana di lavoro, di un week-end con gli amici, mentre fra sordi ognuno parla delle proprie avventure di turismo.
Vorremmo costruire uno stile di vita diverso, che in questa gitarella asiatica ha trovato terreno ricco.
Vorremmo che ci fossero meno cose, meno desideri, meno avidità.
Più dedizione, più pazienza, più gratitudine.
2 commenti
Grazie Lucy 🙂
Bellissimo articolo, grazie ?