Il valore di un’esperienza non turistica: alloggiare in monastero in Nepal
Dormire in un monastero buddista in Nepal è stata una delle esperienze più significative del nostro viaggio. Mi sono decisa a raccontarvela, ma ho scelto di dividerla in due parti: una pubblica sul blog e l’altra in un PDF scaricabile dall’Area download riservata per gli iscritti alla newsletter.
Perché questa scelta? Chiederete voi.
Non è una mossa markettara, credetemi.
Abbiamo scelto di dormire in un monastero in Nepal spinti dal desiderio di conoscenza e autenticità. Volontà che ci ha portati fra i giovani monaci buddisti del World Peace Monastery di Kathmandu (in nepalese Vishwa Shanti Vihar), un monastero non “per turisti”, con poche comodità rispetto ad altri monasteri buddisti in Nepal, ma accolti dal profondo senso di ospitalità nepalese. È stato un modo per ritirarci con le nostre solitudini e i nostri pensieri.
Durante il viaggio in Nepal volevamo infatti ritagliare alcuni spazi per avvicinarci di più alla cultura di questo popolo gentile. E volevamo anche allontanarci dalle vacanze iper-connesse, in cui si corre il rischio che il viaggio diventi più condivisione in tempo reale che non viaggio e basta.
È stata un’esperienza intima e intensa che mi fa piacere condividere con voi lettori. Al contempo però ci tengo anche a salvaguardarne la genuinità, in qualche misura, per questo ho scelto di non pubblicarla interamente sul web. Desidero custodirne il valore e condividerlo con chi è interessato al lato più interiore e spirituale di questa breve parentesi.
Spero comprendiate la scelta.
Gli insegnamenti fondamentali del buddismo, in breve
Prima di varcare la soglia del monastero, faccio una breve introduzione sugli insegnamenti del buddismo, perché penso possa dare una misura (almeno vaga) dei precetti che un monaco deve imparare e osservare quotidianamente.
La religione buddista si fonda principalmente sul concetto di liberazione dalla sofferenza, che ha come scopo il raggiungimento del nirvana: l’illuminazione e di conseguenza la liberazione dal ciclo infinito delle rinascite.
La guida fondamentale per la conquista del nirvana è indicata tradizionalmente nel “Nobile ottuplice sentiero”, un percorso di disciplina costituito da otto componenti: “retta comprensione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retto comportamento, retto sforzo, retta attenzione e retta concentrazione”. In alternativa, i prerequisiti fondamentali per il nirvana possono essere espressi nei termini di tre principi: astensione dalle azioni dannose (moralità), mente disciplinata (concentrazione mentale), e una corretta comprensione dei sé e del mondo (saggezza).
(Malcom David Eckel, Capire il Buddhismo, Ed. Universale Economica Feltrinelli, 2007)
La vita nei monasteri buddisti è scandita da studio e disciplina; è votata al raggiungimento della saggezza e del non attaccamento nei confronti di tutte le cose che generano desiderio e sofferenza: dai beni materiali agli attaccamenti mentali che impediscono di raggiungere lo stato di illuminazione.
Una vita non facile, indubbiamente, che in me ha sempre suscitato ammirazione per le capacità di disciplina del corpo e della mente che i monaci coltivano tutti i giorni.
Accoglienza nel monastero buddista di Kathmandu
Arriviamo in monastero nel pomeriggio di una giornata umida.
Veniamo accolti in una stanza di segreteria, in cui la guida locale con cui abbiamo organizzato il viaggio definisce i dettagli e riceve istruzioni per la nostra permanenza.
Ci spiegano che di tanto in tanto il monastero offre asilo ai turisti che vogliono alloggiare nei monasteri e trascorrere qualche tempo di ritiro spirituale durante il loro viaggio in Nepal. Alcuni restano qualche giorno, altri più tempo.
Ci avvisano che non potremo dormire insieme, è contro le regole del monastero. Avremo due stanze vicine, ma separate.
Nel World Peace Monastery vivono circa una quarantina di novizi, ragazzi e poco più che bambini, tutti maschi, che studiano prima di prendere ufficialmente i voti, all’età di 12 anni. Fra loro c’è anche qualche monaco già ordinato, ma non sono molti.
Al nostro arrivo si percepisce grande fermento, ma nessuno dei novizi si avvicina troppo alla segreteria. Sono tutti al secondo e al terzo piano, si affacciano sul cortile interno per sbirciare la nostra presenza. Dopo una breve attesa veniamo condotti al terzo piano, dove ci sono le stanze riservate agli ospiti, quasi tutte chiuse, con dei nomi appesi sopra le porte. Donatori, probabilmente.
Depositiamo i bagagli con un tonfo. La guida ci saluta.
Dopo brevi istruzioni, il monaco “anziano” (ha 20 anni) ci invita alla preghiera delle 17.00 e ci lascia soli. Pian piano il parlottio e il ciabattare che ci circondano si diradano. Ci guardiamo intorno per capire cosa fare.
La preghiera della sera
Le ore in monastero sembrano più lunghe. Non so se l’avete mai provato.
La mezz’ora o poco più trascorsa in cortile fra disegni, sorrisi e tonache rosse è passata veloce, ma i minuti rallentano fino alle 17.00.
Finalmente il suono del gong, puntualissimo, annuncia il momento della preghiera collettiva.
Ci raduniamo nel tempio, in cui i monachetti si siedono in ordine di età: i più anziani davanti, i giovani dietro. Quelli delle ultime file sono poco più che bambini.
Noi prendiamo due cuscini e ci mettiamo in fondo un po’ distanti, per non disturbare. Ci sediamo composti e in silenzio, ma la nostra presenza e gli acquerelli di Luca distraggono tutti.
Le orazioni hanno inizio, c’è un po’ di agitazione. Testoline pelate e occhietti curiosi si girano verso di noi sorridendo e salutando. Mentre la cantilena delle preghiere va avanti, le ultime file sono un subbuglio di movimenti, gambette che fanno fatica a mantenere la posizione ferma. Qualche tonaca indisciplinata casca dal braccio. Un compagno vicino viene in soccorso per domare la piega ribelle, avvolgendola stretta intorno al braccio sinistro.
L’entrata del monaco anziano, quello di 20 anni, riporta compostezza in sala. Passeggia avanti e indietro, controlla, raddrizza schiene, riprende i novizi affinché si concentrino sulla pratica.
Appena esce però, tornano tutti bambini. Si distraggono, ridacchiano.
Finita l’ora canonica, tutti corrono intorno a Luca per guardare cosa ha disegnato nel frattempo. Qualcuno si riconosce accovacciato sul cuscino.
Insieme ma separati, la sera in monastero in Nepal
Dopo la preghiera il monaco più anziano ci dice che se lo desideriamo siamo liberi di uscire per la sera; il portone chiuderà alle 21.00. Non lontano, in mezzo al traffico rombante della capitale, ci sono alcuni ristoranti, locali aperti, negozi. Se ci va possiamo andare a fare una passeggiata e cenare. Solitamente in monastero non si cena, viene servita solo una zuppa leggera.
Lo ringraziamo per le informazioni, ma no, grazie, preferiamo restare in monastero. Saltare la cena per un giorno non è un problema (e non ci fa male, ci sentiamo ancora appesantiti dal pranzo nepalese, molto abbondante e speziato).
Camminiamo ancora qualche minuto sul terrazzo del terzo piano, il sole lascia il posto a nuvole rosa e arancio, di un colore quasi irreale.
Ci ritiriamo presto nelle nostre stanze, Luca con i suoi pennelli, io con il mio libro.
Il letto ha una coperta appoggiata su una tavola di legno che fa da “rete”. Una cortesia per gli ospiti stranieri: i monaci dormono per terra sulla moquette, con solo la coperta.
Luca va avanti a disegnare fino a tardi. Io leggo per un po’, tranquilla, con la sensazione di potermi concedere alcune ore di niente, senza rimorsi. Mi addormento presto come non ricordavo da tempo. Un sonno scomodo e pacifico.
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Nel documento scaricabile potrete leggere molto altro: la preghiera del mattino, la colazione insieme ai piccoli monaci, l’incontro con il monaco responsabile del monastero, con cui abbiamo avuto una breve conversazione-lezione privata.
E alcune riflessioni personali su questa esperienza.
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Se preferite invece proseguire la lettura per scoprire i lati meno turistici del Nepal, date un’occhiata a questo articolo sul villaggio di Dhampus, un luogo dove conoscere da vicino le tradizioni delle etnie di montagna.
4 commenti
Ciao Francesca,
non te lo so dire perché il costo era compreso nel totale del viaggio che abbiamo organizzato con guida locale, mi spiace. So che il monastero in cui siamo stati noi ha una pagina Facebook, potresti provare a contattarli per chiedere informazioni forse.
In caso fammi sapere!
Ciao,
Qual è il costo per questa esperienza?
Grazie
Grazie mille Silvia, sono davvero contenta che tu abbia apprezzato il post e il resto del racconto. È stata un’esperienza davvero particolare e intensa questa in monastero.
I dubbi su queste scelte in età infantile vengono e rimangono, certo. Ma come dici tu, in fondo anche da noi fino a qualche decennio fa queste cose erano abbastanza comuni e non sorprenderebbe se invece che di una vocazione si trattasse di una “gentile spinta” ad abbracciare la fede.
Ho appena scaricato e letto la seconda parte del racconto e ti devo fare i complimenti per il modo molto delicato con cui hai saputo raccontare questa esperienza. Sono completamente ignorante in maniera, ma mi hai catturata completamente dalla prima all’ultima riga.
Il dubbio sulla vocazione in bambini così piccoli rimane, soprattutto dopo averli immaginati un po’ scalmanati quando non c’è il monaco “anziano”. Forse è un po’ come succedeva nelle nostre campagne dove le famiglie con tanti figli mandavano almeno un figlio o una figlia al seminario o al convento – chissà?